In attesa dell’evento dell’anno al lago d’Iseo, appuntamento in agenda dall’anno scorso!
L’intento di questo articolo non è spiegarvi come/cosa/quando su “The Floating Piers”, l’opera di Christo in costruzione sul lago d’Iseo.
Su questo troverete tantissime informazioni in rete, perché venirlo a sentire anche da me?
Io vi voglio parlare di un uomo. Non di un grande artista.
E di una piccola donna dai fulgidi capelli rossi. Non di due creatori di opere conosciute in tutto il mondo.
Solo di un uomo ed una donna.
Un uomo ed una donna con grandi idee. Talmente grandi che neanche la fantasia riesce a contenerle. Che quando giravano per il mondo si sperava sempre che scegliessero casa tua per la prossima installazione. Un uomo ed una donna che hanno cominciato con nulla, con solo l’amore della vita e un’idea che non aveva avuto nessun altro. Che hanno lasciato il loro paese natale per cercare fortuna altrove. Più volte. Perchè non possiamo pensare che la fortuna venga a prenderti a casa.
Ora che il suo nome in Italia è sulla bocca di tutti, sentiremo dire le solite cose:
Questa non è arte.
Questo è uno che ha fatto i soldi incartando la roba.
Sarei capace anche io, dov’è la difficoltà..
etc etc.
Per questo ve lo voglio raccontare coi miei occhi quest’uomo e l’amore per quella donna. Senza la presunzione di darvi una biografia dettagliata, né un’interpretazione artistica, perché io di arte so poco o nulla. Mai studiata, mai cercata. Ve lo racconto come l’ho scoperto, dalle aste in tv a tarda notte dove si vendevano i suoi bozzetti anni fa. Me lo ha fatto conoscere il mio ragazzo, che da sempre lo segue e da sempre sogna di vedere dal vivo una sua installazione.
Quei bozzetti che non capivo… alberi incartati e di fianco scritte e misure… prezzi di qualche migliaio di euro.
Se volete farvi un’idea di come sono i bozzetti e avere ulteriori informazioni potete vederle presso questa galleria d’arte.
Per anni ho tenuto gli occhi aperti per riuscire ad avvicinarne uno e regalarlo alla persona che me lo aveva fatto conoscere. Prezzi inavvicinabili!
Ma poi l’anno scorso in aprile è arrivato l’annuncio: verrà in Italia e realizzerà The Floating Piers!
Da allora se ne sono dette di ogni tipo su come sarà l’opera, tra mille voci infondate e chiacchere da conferenza stampa. Ho la data scritta in agenda da allora. Ormai ci siamo, tra pochi giorni aprirà al pubblico e sono di ieri le immagini della copertura che comincia a colorare la passerella.
Ed è per questo che ho voglia di dire la mia. Ogni tanto mi permetto il lusso di parlare di cose che non conosco ma che mi affascinano ed in un certo senso mi tengono sveglia la notte. Si, perché ci pensavo stanotte a quest’uomo, mentre non riuscivo a dormire. E mi sono svegliata stamattina pensando: voglio scrivere di lui. Lo ripeto: senza la presunzione di essere un critico d’arte o un profondo conoscitore della materia.
Vi voglio raccontare cosa ci vedo nelle sue opere, mettendoci dentro anche un po’ di filosofia orientale, che sta bene con tutto.
Intanto un po’ di storia, giusto per capire di chi stiamo parlando.
Christo Vladimirov Yavachev naque in Bulgaria nel 1935 e da li, dopo gli studi artistici, si trasferì in vari stati europei approdando nel 1958 Parigi, dove si guadagnava da vivere compiendo ritratti. È così che conobbe Jeanne-Claude Denat de Guillebon, che gli commissionò il ritratto della madre.
Si, perché dietro al progetto artistico “Christo” ci sono entrambe i coniugi: Christo e Jeanne Claude, cosa che spesso si tende a dimenticare o tralasciare. Le loro storie già a questo punto sono degne di un romanzo… lascerei stare il gossip (seppur molto interessante in questo caso) e vi dico solo che dopo molte rotture e vicissitudini i due alla fine si mettono insieme e hanno un figlio. Non necessariamente in quest’ordine.
Cominciano a creare piccole e grandi opere, inizialmente a scopo di protesta. Sono gli anni ’60, era la protesta che muoveva il mondo.
Nel ’64 emigrano insieme negli Stati Uniti e comincia a connotarsi quello che sarà il loro “stile” definitivo: la Land Art, intervenendo sul territorio in modo temporaneo modificando il paesaggio.
Negli anni che seguirono portano a compimento molte opere nonostante i lunghissimi tempi necessari per ogni realizzazione. Gli impacchettamenti per cui sono entrati nell’immaginario collettivo in realtà sono riferibili solo alla prima parte della loro attività, ma visti i tempi di realizzazione sono arrivati ai nostri giorni e sono rimasti il loro segno distintivo.
Ad esempio ci sono voluti 32 anni per completare i “Wrapped Trees”, 24 anni per “The Wrapped Reichstag”, in cui hanno impacchettato il Reichstag di Berlino con tessuto argentato. Anche per le opere successive (e che non hanno a che fare con gli impacchettamenti!) ci sono voluti tempi molto lunghi, ad esempio 26 anni per “The Gates”, il sentiero con 7503 porte con drappi in vinile arancione che sono state installate a Central Park, New York.
Basta digitare su google il suo nome per vedere le tante incredibili opere che sono state realizzate.
Perché mi piacciono? In un certo senso ci vedo quello che nella filosofia orientale è il vero senso del sacrificio: non la distruzione di un bene, ma la perdita della sua utilità.
Per dirla da ingegnere è un cambio di destinazione d’uso.
In pratica pur mantenendo inalterate tutte le sue caratteristiche ecco che un albero incartato di fatto non è più un albero. Un po’ come il cibo che viene messo sugli altari in oriente: non ha più la funzione di cibo, diventa qualcosa di diverso e non può più essere mangiato. In questo modo si rappresenta la trasformazione e la circolarità dell’energia, nel caso specifico temporaneamente.
Mi piacciono perché vedo nel simbolismo e nella grandiosità di certe opere qualcosa di simile al boa che si è mangiato l’elefante ne “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry, con la differenza che tutti guardando un’opera di Christo non vedranno il cappello, ma il boa che si è mangiato l’elefante. Se la cosa non vi è chiara è necessario un ripasso del piccolo principe!
In un certo senso è questa immediatezza che mette le loro opere alla portata di tutti che me li ha fatti amare. Ed allo stesso tempo l’impossibilità di inquadrarli completamente come un tipo di artista che conosciamo, ad esempio uno scultore o un pittore.
Mi piacciono perché nonostante i lunghi anni di preparazione le installazioni durano di solito un paio di settimane. Poi a tutto viene restituito il suo aspetto e la sua funzione.
Adesso vi racconto un episodio, quello per cui ho cominciato ad appassionarmi anche alla vita di queste persone.
Lo scorso natale decido, visto che il 2016 sarà l’anno del Floating Piers, di fare regali a tema Christo.
Lo so. Inveite pure, sono fatta così.
Iniziano mesi di ricerche su siti d’aste di tutto il mondo, ma i bozzetti originali non sono proprio alla mia portata. Ma posso permettermi delle stampe autografate, almeno quelle si! E un pezzetto del materiale di copertura del Reichstang non me lo faccio mancare per nulla.
In questa folle catena di acquisti in tutta Europa incappo in una cartolina autografata che ritrae una delle prime opere di Christo. Una bottiglia impacchettata e trattata con vernici e resina. Esteticamente bella, ma è la descrizione che mi colpisce. Normalmente nella descrizione trovi indicazioni su misure, condizioni, provenienza. Ma questa no. Qui c’è una storia. La scrive il proprietario, un collezionista inglese, che la teneva nella sua collezione personale, e si sente da come ne parla che non è un pezzo qualsiasi.

La cartolina autografata da Christo.
La storia dice che la bottiglia fa parte di una delle prime opere di Christo di quando ancora viveva a Parigi. Un’installazione di bottiglie e lattine chiamata “Inventory”, poste nell’angolo di una stanza come un insieme. Come a rappresentare un inventario fatto in un angolo della stanza prima di un trasloco in una nuova casa. Attualmente solo dei frammenti di questa opera sono arrivati ai giorni nostri, perché quando Christo e Jeanne-Claude si trasferirono a New York nel 1964 non erano in grado di pagare l’affitto di un magazzino a Parigi, né di portarle con sè. Finirono tutte nella spazzatura, a parte qualche pezzo che rimase nella cantina della madre di Jeanne-Claude. Rimangono solo le foto in bianco e nero, da una delle quali è stata creata la cartolina che ho acquistato. Questa storia è un estratto dal libro “Christo and Jeanne-Claude: Early Works 1958-64” by Matthias Koddenberg, e la trovate anche nel sito ufficiale insieme alle foto dei progetti e delle opere già realizzate.
Non sono più riuscita a togliermela dalla testa.
Così dopo ardua contrattazione l’ho portata a casa, ma non ha un valore intrinseco, ha solo un grande valore per me e per la storia che racconta (inutile che veniate a rubarmela in casa!).
Rappresenta non solo una bella immagine di un’opera di un artista che amo, ma anche la storia di un riscatto, di due persone partite dal nulla e arrivate agli apici del successo, conosciute in tutto il mondo. La storia di traguardi impossibili raggiunti con la semplicità e il lavoro di due persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi e di amarsi, costruendo insieme quello che sarebbe stato impossibile fare singolarmente. Se non è una storia che vale la pena di raccontare questa…
Jeanne-Claude muore nel 2009 ma alcune opere che avevano già progettato insieme non sono ancora state realizzate e Christo decide di portarle a termine.
Il Floating Piers è una di queste, la prima che aveva progettato insieme che verrà realizzata dopo la morte di Jeanne-Claude*. La loro terza opera in Italia.
Questo è uno dei grandi valori di quest’opera. Il valore emotivo oltre a quello artistico. Era Jeanne-Claude ad occuparsi della realizzazione dei progetti, mentre Christo firmava i bozzetti, che oltre ad essere la base del progetto venivano venduti per finanziare il progetto stesso. Non accetta sponsor né biglietti di ingresso, né accetta proventi dalla vendita di poster, cartoline o film. Tutte le spese sono a carico di Christo. In questo modo il suo lavoro è totalmente libero.
Già nel 1970 avevano tentato di realizzarla in Argentina, ma non hanno ottenuto i permessi. Nel 1995 ci hanno riprovato in Giappone ma anche li i permessi non sono arrivati. Nel 2014 Christo si ricorda di quei laghi del nord dell’Italia che conosce dagli anni ’60 e individua il Lago d’Iseo come possibile candidato. La cosa che più mi stupisce è che nella polverosa e burocratica Italia i permessi invece sono arrivati!
E rimanendo informata sugli sviluppi del progetto sono incappata in gennaio in una stupenda intervista di cui vi lascio il link, in cui traspare innanzi tutto il grande amore della vita di Christo, prima ancora dell’arte: la moglie Jeanne-Claude. In questa, come in tutte le interviste che troverete, l’artista parla sempre al plurale, come se lei fosse ancora con lui. Come se il progetto lo stessero seguendo insieme, come se in ogni discussione ci fosse anche la voce di lei.
L’intervista si conclude così:
D: Qualcuno temeva che alla morte di Jeanne-Claude sarebbe finito il sogno.
Christo: «The floating piers è il nostro sogno».
Era questo che ci tenevo a dire. Quando andrete a vederlo, o vedrete le immagini alla tv o nei giornali, o ne sentirete parlare al bar o dagli amici, non pensatela come una bizzarra costruzione voluta da uno strampalato artista ricco.
Guardatela come qualcosa di unico, come un sogno che si avvera, come la traccia tangibile di un amore che non vuole saperne di finire.
Non è solo il sogno di Christo e Jeanne-Claude che si avvera, è anche il sogno di chi come me (e più di me) si è appassionato alla loro storia e alla loro arte, e ha atteso con ansia il momento di vederla con i propri occhi e sentirla sotto i proprio piedi.
E’ l’arte che diventa reale, che si unisce alla natura, al vento, al sole, all’acqua, per creare qualcosa di irripetibile.
Anche se non l’apprezzate abbiatene rispetto.
Mi scuso per eventuali imprecisioni o errori, ho cercato di verificare ogni data ed evento riportato ma qualcosa potrebbe essermi sfuggito.
Mi scuso se le interpretazioni che ho dato vi risultano scorrette, come già detto non sono un’esperta e l’intenzione era solo quella di dire la mia opinione e le mie emozioni rispetto a quello che sta succedendo sul lago d’Iseo.
Siate pazienti, quando una cosa mi appassiona parlo troppo!
*aggiungo questa informazione: in realtà nel 2013 Christo ha realizzato un’installazione indoor in Germania presso il gasometro di Oberhausen, dal nome “Big Air Package”.
Si tratta di un’installazione molto suggestiva, che ha concepito nel 2010, quando Jeanne-Claude già non era più con lui.
Ha diverse particolarità rispetto ai suoi altri lavori, ad esempio il fatto che per la prima e unica volta è tornato in un luogo dove aveva già effettuato un’installazione (“The Wall” nel 1999), il fatto che sia rimasta accessibile per diversi mesi (da marzo a dicembre) e che era accompagnata da una mostra retrospettiva di cinquantanni di opere compiute con Jeanne-Claude. La si può quasi considerare un impacchettamento al contrario, perchè in questo caso ad essere impacchettata è l’aria e l’opera è fruibile anche dall’interno, dove era possibile camminare e stendersi a terra osservando la volta della scultura di aria illuminata da luce diffusa, dove luce, suoni e spazi ti trasportano in un’altra dimensione. A questo link trovate qualche foto.
A me sembra quasi un modo di chiudere un cerchio. Non so se in quel momento pensava che sarebbe tornato a lavorare opere come “The floating piers”.